I PFAS (sostanze per- e poli-fluoroalchiliche) sono una famiglia di oltre 10.000 composti chimici utilizzati in numerose applicazioni industriali e di consumo grazie alla loro capacità di respingere acqua, grassi e sporco. Tuttavia, la loro elevata persistenza ambientale e i potenziali effetti sulla salute li hanno resi una crescente preoccupazione globale.
I PFAS sono composti sintetici contenenti legami carbonio-fluoro (C-F), tra i più forti in chimica, il che li rende altamente stabili e difficili da degradare. Questa caratteristica ha portato a definirli “inquinanti eterni” (forever chemicals), poiché rimangono nell’ambiente per decenni, accumulandosi negli ecosistemi e negli organismi viventi.
Esistono due classi principali:
- PFOS (perfluorottano sulfonati) e PFOA (acido perfluoroottanoico): i più studiati e regolamentati, usati in passato in schiume antincendio e pentole antiaderenti.
- Nuove generazioni di PFAS (come GenX): sviluppate per sostituire i precedenti, ma anch’esse sospettate di avere effetti simili.
Dove si trovano i PFAS?
I PFAS sono presenti in molti aspetti della vita quotidiana, spesso senza che ce ne rendiamo conto. Una delle principali fonti di esposizione è l’acqua potabile, che può essere contaminata a causa di scarichi industriali, rifiuti chimici e l’uso di schiume antincendio in aree come aeroporti e basi militari. In Italia, un recente studio di Greenpeace ha rilevato che il 79% dei campioni d’acqua analizzati conteneva PFAS, segnalando un problema diffuso.
Anche gli alimenti possono essere una via di esposizione. I pesci e i molluschi che vivono in acque contaminate tendono ad accumulare queste sostanze nei loro tessuti, mentre carne, latte e uova possono contenere PFAS se gli animali sono stati esposti attraverso l’acqua o il cibo. Perfino frutta e verdura coltivate in terreni inquinati possono contenerli, contribuendo alla nostra esposizione quotidiana.
Molti prodotti di uso comune contengono PFAS per le loro proprietà impermeabilizzanti e antiaderenti. Ad esempio, le pentole antiaderenti, come quelle in Teflon, sfruttano questi composti per evitare che il cibo si attacchi. Anche gli imballaggi alimentari, come la carta oleata per hamburger o le scatole per la pizza, possono essere trattati con PFAS per renderli resistenti ai grassi. Inoltre, sono molto utilizzati nell’abbigliamento tecnico e sportivo, in particolare nei tessuti impermeabili per giacche, scarpe e tende da campeggio. Anche alcuni cosmetici e detergenti ne fanno uso, sebbene molte aziende stiano cercando alternative più sicure.
Infine, i PFAS possono accumularsi anche negli ambienti interni. L’aria e le polveri domestiche possono contenerli, soprattutto se in casa si utilizzano prodotti o materiali che ne rilasciano piccole quantità nel tempo. Questo significa che, oltre all’acqua e al cibo, possiamo essere esposti ai PFAS semplicemente respirando o toccando superfici contaminate.
PFAS nell’acqua potabile in Italia: l’analisi di Greenpeace
Tra settembre e ottobre 2024, Greenpeace Italia ha condotto una vasta indagine sulla presenza di PFAS nelle acque potabili di tutto il Paese, nell’ambito della campagna “Acque senza Veleni”. L’obiettivo era valutare l’estensione della contaminazione e sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni sulla necessità di regolamentare l’uso di queste sostanze chimiche pericolose.
L’organizzazione ha raccolto 260 campioni d’acqua provenienti da 235 comuni italiani, coprendo tutte le regioni e province autonome. La maggior parte dei prelievi è stata effettuata presso fontane pubbliche, punti di approvvigionamento di acqua potabile utilizzati quotidianamente dai cittadini. I campioni sono stati analizzati in un laboratorio indipendente per verificare la presenza e la concentrazione di PFAS.
L’indagine ha rivelato dati allarmanti: il 79% dei campioni analizzati conteneva PFAS, confermando che la contaminazione dell’acqua potabile è un problema diffuso su scala nazionale. Le concentrazioni rilevate variano a seconda delle aree geografiche, ma il fatto che quasi 8 campioni su 10 contengano tracce di queste sostanze dimostra quanto il problema sia pervasivo e sistemico.
I PFAS, noti per la loro persistenza ambientale, sono stati individuati in acque di diverse regioni, comprese quelle in cui non vi era stata precedentemente una mappatura dettagliata della contaminazione. Questo suggerisce che il problema potrebbe essere ancora più ampio di quanto documentato finora.
Alla luce di questi risultati, Greenpeace chiede interventi urgenti per limitare e regolamentare l’uso dei PFAS, a partire dal loro divieto nella produzione industriale e dall’adozione di limiti più severi per la loro presenza nelle acque potabili. L’organizzazione sottolinea che esistono alternative più sicure già disponibili in molti settori e che la transizione verso materiali privi di PFAS è una scelta necessaria per tutelare la salute pubblica e l’ambiente.
Questa indagine evidenzia che la contaminazione da PFAS in Italia è un problema serio e diffuso, che richiede una risposta immediata sia a livello politico che industriale.
Leggi le analisi complete di Greenpeace sui PFAS nell’acqua in Italia
PFAS: gli effetti sulla salute
L’esposizione ai PFAS, quindi, è un tema sempre più preoccupante per la comunità scientifica, perché queste sostanze si accumulano nel nostro organismo e possono influenzare diversi aspetti della salute. Anche se gli effetti variano a seconda del tipo di PFAS e del livello di esposizione, numerosi studi hanno evidenziato potenziali rischi a lungo termine.
Uno dei problemi principali riguarda il sistema ormonale e riproduttivo. I PFAS possono interferire con la funzione della tiroide, una ghiandola fondamentale per il metabolismo e la regolazione energetica del corpo. Inoltre, sono stati associati a difficoltà riproduttive, con alcuni studi che suggeriscono un possibile legame tra l’esposizione ai PFAS e la riduzione della fertilità, sia negli uomini che nelle donne. Alcune ricerche hanno anche evidenziato un aumento del rischio di aborti spontanei e complicazioni durante la gravidanza.
Un altro aspetto da considerare è il loro impatto sul metabolismo e il sistema immunitario. Si è osservato che l’accumulo di PFAS nel corpo può contribuire ad alterare i livelli di colesterolo, aumentando il rischio di problemi cardiovascolari. Inoltre, alcuni studi suggeriscono che queste sostanze potrebbero rendere l’organismo più vulnerabile alle infezioni, riducendo l’efficacia del sistema immunitario.
C’è poi la questione della possibile cancerogenicità. Il PFOA, uno dei PFAS più noti, è stato classificato dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) come “possibile cancerogeno” per l’uomo. Alcuni studi hanno evidenziato un aumento del rischio di tumori ai reni e al fegato in persone esposte a concentrazioni elevate di queste sostanze. Anche se la ricerca è ancora in corso, la possibilità che i PFAS possano contribuire allo sviluppo di alcuni tipi di tumore rappresenta un ulteriore motivo di preoccupazione.
Infine, ci sono prove che i PFAS possano avere effetti negativi su fegato e reni, gli organi responsabili della depurazione del sangue. L’accumulo di queste sostanze nel tempo potrebbe favorire l’insorgenza di malattie epatiche e aumentare il rischio di insufficienza renale.
Sebbene siano necessarie ulteriori ricerche per comprendere appieno tutti gli effetti dei PFAS sulla salute umana, l’evidenza attuale suggerisce che limitare l’esposizione a queste sostanze sia una scelta prudente.
Certo, vediamo di rendere il discorso più fluido e approfondito, concentrandoci maggiormente sull’aspetto dell’acqua.
Come proteggersi dai PFAS
L’acqua potabile è una delle principali vie attraverso cui i PFAS possono entrare nel nostro corpo. Poiché queste sostanze chimiche sono persistenti e si accumulano nell’ambiente, l’esposizione può avvenire non solo attraverso l’acqua che beviamo, ma anche attraverso cibi e prodotti di consumo. Per quanto riguarda l’acqua, però, ci sono alcune azioni specifiche che possiamo intraprendere per limitare il rischio.
Conoscere la qualità dell’acqua nella propria zona
Una delle prime cose che possiamo fare per proteggerci dai PFAS è informarci sulla qualità dell’acqua che beviamo. Le acque potabili, soprattutto in aree industriali o agricole, possono contenere tracce di PFAS, derivanti dallo smaltimento di rifiuti tossici o dall’uso di sostanze chimiche come schiume antincendio. Alcuni comuni forniscono i risultati delle analisi dell’acqua pubblicamente, quindi controllare i rapporti annuali sulla qualità dell’acqua può essere un buon punto di partenza.
Se vivi in una zona in cui i PFAS sono noti per essere presenti, o se il tuo comune ha avuto casi di contaminazione, potrebbe essere utile fare delle analisi per verificare la qualità dell’acqua che arriva nelle tue case. In alcuni casi, i livelli di PFAS nell’acqua potabile possono essere molto bassi, ma potrebbero comunque rappresentare un rischio cumulativo nel lungo periodo.
Filtrare l’acqua a casa
Esistono sul mercato sistemi di filtrazione dell’acqua potabile che ci permettono di ridurre una potenziale contaminazione dai PFAS. Tra i metodi più efficaci ci sono:
- Sistemi a Microfiltrazione e Ultrafiltrazione: questi sistemi possono ridurre significativamente la quantità di PFAS presenti nell’acqua, anche se non li eliminano completamente (fino al 95%). Funzionano legando le molecole di PFAS al carbone attivo durante il passaggio dell’acqua, ma alcuni PFAS particolarmente complessi potrebbero non essere completamente filtrati.
- Sistemi a Osmosi inversa: questo è uno dei sistemi più efficaci per eliminare i PFAS dall’acqua fino al 98%. Gli impianti di osmosi inversa utilizzano una membrana semipermeabile per rimuovere una vasta gamma di contaminanti, inclusi i PFAS.
L’acqua in bottiglia? Non è una soluzione neppure per Greenpeace, secondo cui anche quella potrebbe essere contaminate da alcuni Pfas (su quelle commercializzate in Italia non esistono in realtà dati pubblici).
Evitare l’acqua contaminata da fonti industriali
Se vivi vicino a aree industriali o aree militari, o se il tuo comune ha avuto problemi di contaminazione, l’acqua proveniente da fiumi, laghi o pozzi potrebbe essere contaminata dai PFAS, soprattutto in assenza di un sistema di trattamento efficace. In questi casi, se non puoi accedere a sistemi di filtraggio avanzati, il consiglio è di evitare di bere acqua da fonti non trattate o di filtrarla il più possibile con sistemi specifici come l’osmosi inversa.
Adottare politiche locali e nazionali più severe
Oltre alle azioni individuali, è importante sostenere politiche che pongano un limite alla contaminazione dell’acqua da PFAS a livello nazionale e locale. Greenpeace, ad esempio, ha evidenziato come in molte zone italiane ci siano alte concentrazioni di PFAS nell’acqua potabile e ha chiesto alle autorità di fissare limiti più severi per la loro presenza. La sensibilizzazione è un altro passo fondamentale, poiché le leggi che regolano i limiti di PFAS nelle acque potabili sono ancora poco stringenti in molte aree del mondo, compresa l’Europa.
Conclusione
La situazione, come spesso accade in questi casi, è tuttavia molto complessa. Se da un lato è fondamentale cercare di ridurre il rischio di contaminazione, è anche importante evitare che la paura prenda il sopravvento. Come sottolinea Claudia Chiozzotto, esperta di Altroconsumo, “la metodica di analisi utilizzata da Greenpeace arriva a quantificare valori molto bassi di PFAS, ma la maggior parte dei risultati è ben lontana dal limite normativo di 100 nanogrammi per litro di PFAS totali”. Questo significa che, purtroppo, i risultati dell’indagine di Greenpeace, pur evidenziando una contaminazione diffusa, non indicano necessariamente un pericolo imminente per la salute, almeno nelle concentrazioni rilevate.
È importante considerare anche che i dati raccolti da Greenpeace non sono completamente allineati con quelli forniti da altri enti e autorità competenti. In particolare, i dati degli acquedotti coinvolti in casi di contaminazione da PFAS e quelli di altre inchieste, come quella di Altroconsumo, non sempre coincidono con le rilevazioni fatte da Greenpeace. La recente inchiesta di Altroconsumo, infatti, ha evidenziato risultati che differiscono da quelli ottenuti da Greenpeace, creando una discrepanza nelle valutazioni dei rischi legati ai PFAS. Questa situazione sottolinea la difficoltà di stabilire parametri chiari e uniformi per misurare la presenza di PFAS nell’acqua potabile e rendere uniformi le analisi su scala nazionale.
La protezione dai PFAS passa sicuramente attraverso una maggiore consapevolezza e l’adozione di pratiche quotidiane per ridurre l’esposizione, in particolare attraverso l’acqua potabile. Poiché queste sostanze sono difficili da eliminare completamente, i sistemi di filtrazione dell’acqua potabile e il monitoraggio costante dell’acqua sono tra le soluzioni più efficaci per proteggersi. Non solo, ma sostenere politiche ambientali più rigorose e scelte di consumo responsabile sono altrettanto importanti per fermare la diffusione di questi inquinanti nelle nostre risorse idriche.